L’Abbazia di S. Giovanni in Argentella: notizie storiche
La presenza di un’Abbazia benedettina presso Palombara Sabina è attestata in documenti del X secolo (privilegio di Benedetto VI del 973, bolla di Marino II del 994-995) relativi a questioni confinarie fra la Diocesi Tiburtina e quella Sabina, ma potrebbe riferirsi ad essa anche un atto del VIII secolo ove si cita un fundum Argenti aggregato alla Diocesi Tiburtina.
Accanto alla chiesa si conservano strutture edilizie di epoca romana, che, insieme allo speco di captazione di una sorgente, indussero i Benedettini a scegliere quel sito. Il toponimo “Argentella” fu originato probabilmente dai riflessi argentei delle numerose laminazioni prodotte dall’acqua che sgorga nella valle.
Il monastero rivestì in età medioevale un ruolo importante per l’organizzazione del territorio circonvicino; i suoi possedimenti, infatti, abbracciavano un’area che coincide grosso modo con quella dell’odierno Comune di Palombara Sabina.
Nell’XI secolo il potere espansionistico della famiglia dei Crescenzi Ottaviani entrò in conflitto con l’istituzione monastica fino a ritrovare un mediato equilibrio grazie all’intervento papale. È emblematico un documento del 1111 che vede la restituzione ai monaci di vaste terre usurpate dal Conte Ottaviano, signore di Palombara.
Fra l’XI e il XII secolo il primitivo edificio di culto venne sostituito dall’attuale chiesa romanica a tre navate absidate. La ricostruzione romanica, che previde un nuovo campanile, uno spazio porticato davanti alla facciata riproponente lo stesso soggetto iconografico del S. Pietro costantiniano, un chiostro e ambienti cenobitici intorno, può ritenersi conclusa nel 1170, anno a cui risale l’iconostasi cosmatesca del marmorario Centurius. Il periodo di splendore della comunità benedettina, tuttavia, non durò a lungo e nel 1283 l’ultimo abate, Jacopo, si trasferì per volere di Martino IV nella chiesa romana di S. Saba.
Nel 1284 l’abbazia fu affidata ai Guglielmiti che vi rimasero fino al 1445. Costoro apportarono numerose modifiche all’impianto abbaziale, trasformando l’avancorpo e realizzando, nella navata destra, la cappella di S. Guglielmo. Significativo per l’alto valore storico è il ciclo di affreschi della vita di S. Guglielmo, dipinti seguendo il testo della vita del Santo redatta nel XIII secolo dal monaco Thebaldo.
Nella chiesa si conserva un ciborio originale in stucco decorato con motivi viminei ad intreccio e con capitelli corinzi anch’essi in stucco, che da sempre è stato oggetto di controverse datazioni.
La chiesa dopo il 1445 è stata per un periodo sotto la cura dei Francescani del vicino convento di S. Francesco, poi per anni è caduta in abbandono. La “riscoperta” si deve al pittore bolognese Enea Monti, il quale rimase stregato dalla bellezza del monumento e si impegnò fino alla morte per recuperarlo. Grazie alla sua opera e al suo interessamento si arrivò il 10 giugno 1900 all’emanazione del Regio Decreto n. 293 con cui l’Abbazia di S. Giovanni in Argentella fu dichiarata Monumento Nazionale.